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Izberite DeloSuor Angelica (Sister Angelica), Puccini

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Trittico, prima stazione. La tragedia e l’inferno. Non c’è speranza per l’umanità alla deriva sulle chiatte della Senna, brulicante di desideri e rimpianti. La matura Frugola sogna una casetta, un orto, il gatto; Giorgetta ripensa al (sob)borgo natìo e a venticinque anni ha già il cuore ferito dalla morte del figlioletto. Non è solo una Madame Bovary fra matrimonio sfiorito e nuove passioni; il fallimento del rapporto con Michele è anche in quel dolore che non si vuole nemmeno nominare. La Senna, come la vita, scorre inesorabile, cupa, trascina con sé i destini di chi ne abita le rive. Un pessimismo di stampo naturalista più che verista permea la prima opera del Trittico pucciniano e la musica assume un colore livido che l’avvicina all’espressionismo. Michele, deluso, si fa assassino dell’amante della moglie, compie la catastrofe di un mondo di sconfitti e la tensione culmina con la trasformazione dell’antico gesto d’affetto, l’abbraccio avvolti dal tabarro, nella scoperta del cadavere. Trittico, seconda stazione. L’elegia, il purgatorio. Il tempo del chiostro è sospeso, è una serenità placida che brulica di simboli, rinunce, espiazioni. Suor Genovieffa, già pastorella, ha nostalgia degli agnellini; Suor Angelica serba in cuore la nostalgia del figlio che le è stato strappato dalla famiglia prima di essere costretta a prendere i voti. I parenti non potevano perdonarle un amore proibito e la Zia Principessa le fa visita solo per ottenere la rinuncia all’eredità. La crudeltà gelida del mondo infrange la pace artificiale dell’attesa: Angelica si intenerisce pensando alla sorellina, cerca notizie del figlio; la zia pensa solo a denaro e posizione, comunica secca che il bimbo è morto. La dolcezza irreale e immobile è infranta, la protagonista da vittima si fa padrona del suo destino forte della sapienza acquisita nell’erboristeria. Si avvelena, delira, si vede infine, morendo, accolta dalla Madonna e dal figlioletto. Infine, un’amara ambiguità: miracolo o allucinazione? Trittico, terza stazione. La commedia, il paradiso. A dir la verità “questa bizzarria” getterà all’inferno il protagonista, ma, rispetto alla sentenza pronunciata nella Divina Commedia, l’opera di Puccini concede un’ottima attenuante all’astuto Schicchi: il parentado di Buoso Donati è un nido di avide vipere, si salva solo Rinuccio con il suo amore per Lauretta. Scornare i primi per garantire un futuro prospero ai secondi è un’ottima azione, anche se la truffa del falso testamento non solo può essere punita con esilio e taglio della mano a Firenze, ma quand’anche si sfugga alla giustizia umana non può scampare a quella ultraterrena. Puzza quindi di zolfo, la conclusione dell’Umana Commedia pucciniana, ma presenta anche, finalmente, una speranza, con una coppia giovane e felice che si oppone luminosa alla grettezza (“Avete torto!… Firenze è come un albero fiorito”) o al rigore (“O mio babbino caro”) dei parenti e infine intona sognante “Firenze da lontano | ci parve il Paradiso”.
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