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La chiave di lettura proposta da Gianmaria Aliverta nell’edizione della Fenice tiene conto di questa caratteristica. Il giovane regista rispetta le diverse psicologie individuali, ma le colloca in un contesto attualizzato, offrendo nello specifico uno spaccato della società contemporanea ispirato all’immaginario cinematografico della commedia all’italiana. Per la precisione, Aliverta si rifà al filone trash costituito dalle pellicole a tema vacanziero e natalizio dei fratelli Vanzina, popolate da “mostri” certo meno cinici e geniali rispetto a quelli dei film di Risi, Monicelli e Scola, ma altrettanto rappresentativi. La locanda settecentesca di Mirandolina diventa così un hotel moderno con tanto di “spa” dove, tra un massaggio, un idromassaggio e una sauna, si rilassano e si incontrano personaggi delle più varie classi. Un campione stratificato di società nel quale ritroviamo le antiche contrapposizioni tra Nord e Sud, tra bauscia milanesi (il marchese di Forlimpopoli) e tamarri romani arricchiti (il conte d’Albafiorita). In un susseguirsi di gag e trovate spiritose, sfilano anche burine coatte (Ortensia e Deianira), il massaggiatore (Fabrizio) e naturalmente la donna manager, Mirandolina. A lei e al misogino cavaliere di Ripafratta il regista riserva uno scavo maggiore dal punto di vista psicologico. Si capisce, in particolare, che la finzione in Mirandolina non è uno strumento per apparire diversi e migliori di quello che si è, come nel caso degli altri personaggi, ma il solo codice di vita possibile, l’unico che le permetta di ribadire la propria intelligenza e volontà di potere. Il ritmo serrato dello spettacolo è favorito anche dall’essenziale impianto scenico firmato da Massimo Checchetto, una struttura rotante che ospita via via i locali in cui si svolge l’azione: la zona benessere, la lavanderia, la camera del conte. Gli interpreti, quando non girano per la scena in mutande e accappatoio, indossano gli estrosi costumi di Carlos Tieppo. Sul versante esecutivo, John Axelrod ha impresso all’opera una dose cospicua di brillantezza ed energia: un vitalismo che definirei quasi rossiniano. La sua direzione è riuscita inoltre a valorizzare i riferimenti al colore slavo che caratterizzano la partitura, superando allo stesso tempo le insidie rappresentate da certi fraseggi irregolari e dall’andamento poliritmico e sincopato del linguaggio musicale di Martinů. Qua e là, se vogliamo, si sarebbero desiderate più varietà nei chiaroscuri e una maggiore levità nel restituire il lirismo di alcune pagine. Ottima l’intesa con i cantanti, tutti disinvolti e credibili in scena. La protagonista era Silvia Frigato, voce chiara e di volume contenuto ma capace, grazie anche alla frequentazione del repertorio barocco, di muoversi con agilità e precisione in una scrittura impegnativa. Una Mirandolina insomma apprezzabile, espressiva nel fraseggio e vivace nell’accento. Nei panni del cavaliere di Ripafratta Omar Montanari si è imposto sia per la vocalità ben timbrata e corretta, che per la misura della caratterizzazione, mentre Marcello Nardis e Bruno Taddia si sono fatti apprezzare soprattutto per il divertente taglio vanziniano e tamarro conferito ai rispettivi personaggi: il conte di Albafiorita e il marchese di Forlimpopoli. Impeccabile sotto ogni profilo il Fabrizio di Leonardo Cortellazzi e convincenti pure le due comiche: Giulia Della Peruta, Ortensia, e Laura Verrecchia, Deianira.
“…vuoi per la messinscena di Gianmaria Aliverta, giustamente fiabesca e poetica. In una cornice stilizzata ma piena di colori e di idee, firmata per le scene da Alessia Colosso, per i costumi dallo stesso Aliverta in coppia con Simone Martini e per le luci da Adriana Renna, lo spettacolo si è fatto ammirare per la freschezza e per il ritmo della narrazione, brillante senza cadere in eccessi caricaturali, favolisti. senza zuccherosità compiacenti.”