Il tutto nel vuoto di una scena che la regia di Roberto Catalano costruiva, passateci il verbo, sulla sottrazione più radicale: solo quattro fari mobili, azionati ad incorniciare e a ridefinire lo spazio – giocoforza asfittico - entro cui i personaggi avrebbero ordito la loro tela di amore e di morte. Attorno, niente. Solo lo scheletro nero dell’Auditorium, tra cemento e vetrate, e la notte. Un Rigoletto “giacomettiano” e per diversi aspetti cameristico, dolorosamente scarnificato fino al limite estremo della sua essenzialità, con qualche inevitabile taglio alla partitura e quattro sole voci a rappresentare, velenoso contrappunto alle angosce del gobbo buffone, la “dannata vil razza” della corte gonzaghesca. [...]
Andate a vederlo. Questo Rigoletto della rinascita merita una passeggiata nel parco.