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Past Production Reviews

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I lombardi alla prima crociata, Verdi
D: Lamberto PuggelliGrazia Pulvirenti
C: Daniele Callegari
L'Opera Lirica Italiana va in scena a Monte Carlo

D: Renzo, sei reduce da Montercarlo, dove, al Teatro dell’Opera, è stato messo in scena "I Lombardi alla prima Crociata", un’Opera proposta dal Teatro Regio di Parma. Un po’ un ritorno a casa, perché tanti anni fa, sei stato assistente di tuo padre, come Maestro d’Armi, per lo stesso spettacolo, dove debuttava un giovine tenore in un ruolo secondario, tal…Luciano Pavarotti!
 R: Mia cara Silvia, sì, sono stato a Monte Carlo, dove, con enorme soddisfazione, siamo tornati su un palcoscenico, cosa che manca a tutti da morire. I Lombardi alla Prima Crociata è una bellissima Opera di Giuseppe Verdi, in cui c’è un coro molto importante, quasi al pari di quello del Nabucco, e quella su cui ho lavorato lo scorso mese è una vecchia produzione del Teatro Regio di Parma, che già portammo due anni fa a Bilbao con grande successo. Dopo quest’altro successo di Monte Carlo, probabilmente l’anno prossimo la porteremo a Orange, nei pressi di Avignone, dove c’è un importante festival estivo simile a quello di Roma delle Terme di Caracalla.
La storia di Pavarotti è quasi incredibile, perché, pensa, mentre parlavo col direttore artistico dell’Opéra di Monte Carlo (fra l’altro lì tutti parlano italiano), lui mi dice: “Sai, ci fu una magnifica edizione dei Lombardi, tanti anni fa, con un cast stellare: Ruggero Raimondi, -un baritono molto famoso all’epoca-, che faceva Pagano, poi c’era Renata Scotto, -soprano di livello incredibile, ai livelli di Tebaldi o Callas-, e infine un giovane tenore di buone speranze, che si chiamava Luciano Pavarotti”. Parliamo di un’Opera rappresentata a Roma, nel 1969, con direttore d’orchestra Gianandrea Gavazzeni, che tutti quelli dell’ambiente, e non, conoscono sicuramente. La regia era di Luigi Squarzina e le scene e i costumi di Pier Luigi Pizzi. Maestro d’Armi, infine, era Enzo Musumeci Greco, mio padre. Nel 1969 io avevo 17 anni, e già cominciavo ad affiancarlo nel lavoro, per cui in quell’occasione anch’io conobbi questo robusto e simpatico cantante, che era Luciano Pavarotti, ma che non era ancora “Luciano Pavarotti”, nome che poi rimase nel mondo della musica anche dopo la sua scomparsa. Pavarotti è un mito assoluto, considerato da tutti gli addetti ai lavori “la più bella voce del Novecento”: e, udite udite, incredibilmente non conosceva la musica. Quindi, era una sorta di “istintivo”, una cosa pazzesca se pensiamo che tutti i suoi colleghi, personalità come Carreras o Domingo, erano musicisti: Domingo è anche direttore d’orchestra. E Pavarotti, invece, non conosceva affatto la musica. Pensa un po’, una cosa che ha dell’incredibile, visto il suo talento.
 D: Dunque, alcuni teatri in Francia sono aperti, seppure al 50%. Ci devi raccontare come avete lavorato in piena pandemia e cosa si può fare, secondo la tua esperienza, per lavorare in sicurezza. R: 
In Francia non so dirti con esattezza, dato che eravamo a Monte Carlo (anche se a 50 metri da noi c’era la Francia). In ogni caso, noi abbiamo lavorato in piena sicurezza: ogni 3-4 giorni tutti i teatranti (cantanti, registi, maestranze, coro, orchestrali, proprio tutti) si sottoponevano a tampone molecolare (a spese dell’Opéra), e ovviamente ogni giorno ci si misurava la temperatura prima di entrare nel teatro. Il giorno del debutto il pubblico era ridotto al 50%, con sedute alternate, e anche per loro c’era la misurazione della temperatura all’ingresso. Sì, ci vuole un’organizzazione notevole, e anche dei costi significativi, per sostenere questo tipo di attività in un periodo come quello che stiamo vivendo; ma io penso che, con delle convenzioni, con tutti i contributi (magari si fa uno spettacolo in meno a stagione, per pagare tutti i tamponi necessari), si possa tornare a lavorare in sicurezza e, di conseguenza, a sopravvivere, perché anche di questo si tratta. La cosa, a mio parere, si può fare. Monte Carlo è a 4 minuti da noi, non siamo in un altro mondo. Penso che la gente, in Italia, sia stata un po’ troppo bombardata dall’informazione, che ha portato quasi a una sorta di “criminalizzazione” di teatri e cinema, cosa che io personalmente non capisco: se ci pensate, quando noi prendiamo l’aereo, ci troviamo spalla a spalla con un’altra persona che magari ci tossisce vicino. Perché in aereo sì e a teatro no?
 D: Il pubblico ha risposto o c’è stata paura? 
R: Il pubblico era tranquillissimo, ordinato: all’ingresso tutti distanziati, a uno o due metri, c’era la prova della temperatura prima di entrare, il controllo dei biglietti e poi via, tutti dentro a godersi lo spettacolo. Non c’è stato alcun problema: nessuna paura, assolutamente niente.
 D: Tra l’altro, avevate un’orchestra dal vivo di 60 elementi: come si può suonare con il virus? R: 
L’orchestra è abbastanza distanziata, nessuno sta attaccato al suo vicino. Sai, se abbiamo la mascherina e stiamo almeno a un metro di distanza… Poi l’organico è disposto a raggiera, quindi i musicisti non si trovano neanche uno di fronte all’altro. Per cui il pericolo, anche per l’orchestra, non c’era. Davvero: in quel contesto non ho avvertito la minima preoccupazione da parte di alcuno.
 D: D’altronde, la cosa più bella nell’Opera è il lavoro di gruppo con tutti professionisti di caratura mondiale, in ogni settore. Hai paragonato l’Opera a un film ripreso in un unico lungo piano sequenza. E’ vero?
 R: Sono convinto che il lavoro dell’Opera lirica sia il più difficile e complicato, nel mondo dello spettacolo, molto più difficile di quello che si fa in Cinema o nel Teatro. Nel Cinema, se sbagli una scena, c’è lo stop del regista e si ripete tutto; nel Teatro è tutto “in diretta”, ma non si è soggetti a tempi così “obbligati”: puoi sbagliare una battuta, un’entrata, un’uscita, ma poi si va avanti. Nell’Opera non è così. Tu mi chiedi perché io la paragoni a un unico lungo, piano sequenza: lo faccio perché nel momento in cui un’opera parte, non si può più fermare. Quindi, se il cantante, o il coro, sbagliano un’entrata, o non azzeccano l’attacco, salta tutto. Non si può mica fermare e ripetere, è un meccanismo che non è arrestabile, va tutto avanti, e perciò tutto deve incastrarsi alla perfezione: l’orchestra, la regia, le luci, le scene, le entrate, le uscite, gli attacchi, il coro… è un lavoro incredibile, che unisce un organico di 60 orchestrali, un direttore, la regia, la scenografia… e come se tutti lavorassero su una macchina che, quando parte, non si può più arrestare. L’unica cosa che è certa, lo ripeto, è che all’apertura del sipario si parte, e fino all’intervallo non ci si ferma più, e quindi non si può assolutamente sbagliare. Per cui questo meccanismo deve essere perfetto, è un’organizzazione entro cui non sono ammessi dilettanti, tutti devono essere dei professionisti e sapere cosa stiano facendo: basta che ci sia un’unica persona che faccia una stupidaggine, e salta tutto. L’Opera lirica è l’unico lavoro, nel mondo dello spettacolo, che funziona così. L’unico.
 D: L’Opera , ricordiamoci è un patrimonio italiano che va preservato a tutti i costi, perché rappresenta una delle perle dell’Italia nel mondo. Anche grazie all’Opera lirica tante persone nel mondo masticano l’italiano. Il Teatro Regio di Parma da anni porta in giro questo spettacolo… R: 
L’Opera è assolutamente un patrimonio italiano. Ricordiamoci del Melodramma, che nasce e si sviluppa in Italia, e che almeno l’80% delle opere rappresentate nel mondo sono italiane. E tutti quelli che lavorano nell’Opera, in tutto il mondo, dai direttori artistici dei teatri ai registi, dagli scenografi ai cantanti, dai direttori d’orchestra alle maestranze, tutti devono masticare, per forza di cose, un po’ di italiano. Quindi, a mio parere, l’Opera andrebbe veramente incentivata con tutti i mezzi possibili, perché è un veicolo mondiale per parlare l’italiano. Se non ci fosse l’Opera, la metà delle persone straniere che parlano un po’ di italiano probabilmente non lo parlerebbero. Già solo questa sarebbe una motivazione validissima per sostenere l’Opera.
 D: Quante scene di combattimento c’erano? R: 
Ne I Lombardi alla Prima Crociata c’è una grande scena di combattimento fra i Lombardi, cioè i Cristiani, e i Musulmani, che si svolge nel finale, come spesso succede nelle opere liriche, in cui alla fine c’è sempre qualcosa di “grandioso”, e in quel momento ci saranno in scena in tutto, non so… più o meno dalle 150 alle 200 persone. Poi, durante l’opera, ci sono anche numerosi movimenti “duellistici” del coro, che però non possiamo far realmente combattere, perché quando parliamo di 50-100 persone tutte insieme su un palco al massimo si possono far compiere dei brevi gesti, dei movimenti, qualche piccolo incrocio di spade o armi, magari due personaggi si prendono i polsi o si strattonano… Questo anche perché, essendoci in scena tutta quella gente, ogni minimo movimento, se sbagliato o casuale, può diventare pericoloso. Uno dei miei compiti, anzi, forse il mio compito principale, oltre a quello di fare spettacolo, è quello di assicurarmi che nessuno si faccia male. E per fortuna non è mai successo, ma ti assicuro che io faccio delle raccomandazioni quasi imperative, addirittura impongo di fare alcuni movimenti, e prego sempre tutti, quasi in ginocchio, di fare attenzione e di attenersi alle indicazioni per evitare di far male a qualcun altro. Spesso sono io stesso, in prima persona, a mostrare ai miei “allievi” quelli che sono i pericoli in cui si può incappare in scena, se qualcuno fa un movimento sbagliato; e spesso realizzo anche dei piccoli video, durante le prove, che poi gli faccio rivedere in modo che si rendano conto di come bisogna, o non bisogna, muoversi.
 D: Come viene “modernizzata” ed attualizzata oggi l’Opera?
 R: Devo dire che personalmente io non sono un grande fan delle opere modernizzate o attualizzate, perché a me piace il fatto che siano in costume, cosa che ci permette di immergerci in atmosfere come quelle del ‘400, del ‘500, del ‘700… Io, da sempre, sono quindi favorevole, più che a un’attualizzazione dell’Opera, a una sua “spettacolarizzazione”. Cerco, ogni volta, di inserire dei criteri un po’ “cinematografici”, vista anche la mia esperienza nel settore, in ogni opera in cui lavoro. Per fare un esempio, nel Corsaro, sempre di Verdi, c’è l’assalto a una nave. In quella scena io costruisco l’abbordaggio tramite delle corde attaccate al graticcio che vengono usate per compiere grandi salti, capriole, “acrobazie” del genere, cosa che accade anche in alcuni balletti. Insomma, cerco di rendere queste scene un grande spettacolo. L’Opera lo è già di per sé, grazie a scene e costumi; però, a volte (e lo ripeto: la causa è principalmente la mia cosiddetta “estrazione” cinematografica), quasi mi annoio quando assisto ad alcuni spettacoli in cui i personaggi se ne stanno lì impalati. Gli attori, il coro, i mimi: tutti, a mio parere, devono muoversi: ognuno deve sempre fare qualcosa. Quello che ripeto spesso a tutti è di immaginare che, anche se in scena ci sono 100 persone, ci sia una telecamera che riprenda ognuno costantemente da vicino, in primo piano: per cui, oltre ai movimenti, bisogna curare anche dettagli come l’espressione, per esempio. In sostanza, ognuno deve fare qualcosa, perché questo qualcosa si vede.
 D: I duelli, i contrasti, le scaramucce contribuiscono alla spettacolarizzazione dello spettacolo. Mi racconti qualche aneddoto di spostamento di masse sulla scena?
 R: Un grandissimo regista capace di movimentare le masse in una maniera incredibile era Zeffirelli. La prima volta che facemmo il suo Trovatore, nel 2001, all’Arena di Verona (parliamo di 300-400 persone in scena), lui se ne stava seduto in mezzo all’Arena, quindi più o meno a 50 metri dal palcoscenico, e con il microfono diceva: “Allora, quei tenori scendano tutti di tre metri, i baritoni salgano di due metri, i mimi facciano questo movimento, i cavalli entrino da quella parte…” e tu vedevi che la scena prendeva un aspetto totalmente diverso da quello che aveva un attimo prima. Zeffirelli possedeva una visione d’insieme incredibile, e devo dire che forse nel mondo dell’Opera il miglior esempio di questo tipo l’ho avuto proprio da lui. Lavorarci è stata un’esperienza veramente importante, per me.
Quel Trovatore con la regia di Zeffirelli l’abbiamo poi riproposto per circa 7 o 8 volte negli anni, e ogni volta che ritorna in scena fa un pienone pazzesco: Cecilia Gasdia, direttrice artistica dell’Arena di Verona, mi diceva che è un’opera che non tramonta, che è talmente bella e ben organizzata che non invecchia mai. E pensa, nonostante siano passati diciotto anni dalla prima rappresentazione, l’ultima volta che l’abbiamo portata in scena (due stagioni fa, nel 2019), è stata l’opera che ha ottenuto il maggior incasso della stagione. Certo, nel caso del 2019 parliamo di artisti del calibro di Anna Netrebko, che attualmente è forse il più grande soprano del mondo, del baritono Luca Salsi… La versione “zeffirelliana” di quest’opera, comunque, è davvero pazzesca: ti dico solo che in scena ci sono vari cavalli veri, circa 3-400 persone, e il colpo d’occhio che ti arriva è incredibile; è uno spettacolo che ti appaga talmente che anche se non ti piace quel tipo di musica, non apprezzi l’Opera o non capisci niente riguardo a quell’ambito, rimani lo stesso inchiodato alla poltrona. La lirica in quelle “dimensioni” è probabilmente il più grande spettacolo che esista.
 D: Ho un ricordo meraviglioso della tua scherma ne I Promessi Sposi di Michele Guardi’ e Pippo Flora: quello era un grande spettacolo per molti versi accostabile all’Opera… R: Quello dei Promessi Sposi è sempre un ricordo magnifico, e devo dire che è uno dei lavori durante i quali mi sono più divertito, perché i cantanti di musical sono “leggeri”: cioè, fanno musica leggera, e sono leggeri anche loro, oltre che intelligenti e simpatici, ovviamente. Si vogliono divertire, e, dovendo trasmettere qualcosa che emozioni la gente, più si divertono e si emozionano loro, più lo fa anche il pubblico. Anche nel mio caso è stato così, il nostro divertimento e la nostra amicizia, in scena e fuori, abbiamo cercato di trasmetterla agli spettatori. Tant’è vero che, dopo quello spettacolo, io sono rimasto in contatto con tutti: con Graziano Galatone, Giò di Tonno, Cristian Mini… Vittorio Matteucci lo sento di meno, ma anche con lui siamo rimasti molto amici, idem Lola Ponce, con cui ogni tanto ci scambiamo messaggi. Davvero, è stato un periodo divertentissimo, noi eravamo lì e volevamo divertirci, anzi: eravamo lì per divertirci, e poi ogni tanto, quando capitava, lavoravamo anche, andavamo in scena… Però il presupposto principale era quello di divertirsi. E ogni volta che andavamo via tutti insieme in pullman, dopo lo spettacolo, ci esibivamo in una sorta di “show” personale che ci eravamo inventati io, Giò e qualcun altro: era una specie di radio privata, in cui io partivo a cantare un pezzo, per esempio dei Beach Boys, e tutti sul pullman ballavano e cantavano, e alla fine della canzone Giò attaccava con le sue imitazioni pazzesche.
I Promessi Sposi è stato un grandissimo musical, sia come dimensioni che come colossalità, tanto che, come hai detto, si avvicinava proprio all’idea di una grande opera lirica. Anzi, ti dirò di più: forse era più grandioso di almeno la metà delle opere liriche che ci sono in giro. Un’opera che secondo me avrebbe potuto rimanere in piedi tanti anni, ma tanti, perché le musiche erano bellissime, così come le coreografie (più le prime che le seconde, a mio parere), le scene di massa spettacolari… insomma, era una produzione fantastica. Non so bene cosa sia successo, dopo: a un certo punto so solo che si è fermato tutto e non è più stato rappresentato. Addirittura non so neanche se, prima o poi, uscirà di nuovo fuori.
 D: Secondo te, come potremo riaprire anche in Italia e su cosa dovremo puntare? R: 
Riaprire in Italia si può, assolutamente, dando però la possibilità ai lavoratori dello spettacolo di organizzarsi, di fare una programmazione. Non si può solo dire: “Dal 26 aprile riapriamo i teatri.” E chi riapre, così? Nel Teatro, come nell’Opera e nel Musical, per preparare una stagione si deve lavorare per mesi… per preparare la stagione dell’anno successivo. Con le attuali premesse è impossibile riuscire a fare qualcosa; bisognerebbe forse andare a ripescare spettacoli già fatti, rimettere in piedi scenografie, ma ora non è questo quello di cui l’Italia ha bisogno adesso. È anche un po’ una questione di cultura: un paio di anni fa sono stato in Russia, e io non ne avevo idea, ma in Russia c’è una quantità innumerevole di teatri, e sono sempre strapieni: lì tutti vanno a teatro. Su che dobbiamo puntare, qui in Italia? Sicuramente sulla qualità, ma per assicurare qualità ci vogliono i soldi, e quindi… Ora io non so se manchino finanziamenti o investimenti, la volontà o la voglia di rischiare, ma sicuramente gli italiani, con i giusti mezzi, sono in grado di fare qualcosa di altamente spettacolare. Certo, oggi il Teatro purtroppo è ridotto un po’ male: non so se ci sia qualche “volontà dall’alto”, oppure se sia a causa della concorrenza del Cinema o della Televisione, che, forse un po’ maliziosamente, cercano di togliere “clienti” al Teatro… però c’è da dire anche che ci sono spettacoli teatrali diciamo così, abbastanza modesti e noiosi. Cioè, io ricordo spettacoli che, ai tempi, facevo con Ronconi o altri registi come lui, che erano cose incredibili… certo, all’epoca c’erano a disposizione molti più fondi, tantissimi attori, grandi registi che forse oggi solo i Teatri Stabili si possono permettere. Ecco, forse si potrebbe partire dal revisionare un po’ le nomine di questi Teatri Stabili, prediligendo magari maggiormente la professionalità, più che le scelte “politiche”.

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16 May 2021issuu.comSilvia Arosio
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20 March 2021www.olyrix.comFlorence Lethurgez

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