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ALBERTO MATTIOLI MILANO Gianmaria Aliverta è l’antibamboccione dell’opera. La sua storia è nota ai lettori della «Stampa» perché l’abbiamo già raccontata. In sintesi: colpito dal bacillo del melodramma, portatore insano di passione operistica, il giovane Aliverta prima l’opera l’ha cantata come corista e poi ha deciso di metterla in scena come regista. Invece di stare lì a lamentarsi perché nessuno gliela faceva fare, ha semplicemente deciso di farla, usando per le sue produzioni super economiche, low cost al quadrato, anche i proventi del suo precedente mestiere di cameriere. È nata così «Voce AllOpera», l’associazione che vuole dimostrare che chi fa l’opera (e chi ci va) non deve necessariamente essere over 50, anzi, e che per farla (e anche per andarci) non servono dei capitali. Basta investire sull’unica materia prima gratis disponibile sul mercato: le idee. È nata così questa specie di Ryanair del melodramma che da alcuni anni, fra cambi di sede, alti e bassi (molti più alti che bassi, comunque), trovate pubblicitarie come un clamoroso flashmob in metropolitana, è ormai un piccolo grande classico dell’opera in città, con un suo pubblico di aficionados delle trovate del Nostro, in gergo «alivertate». Il quale Aliverta, 32 anni, a forza di inventare, ha iniziato una carriera registica «vera» e molto promettente, con scritture alla Fenice o al Maggio musicale fiorentino. Ma non molla «Voce AllOpera», che quest’anno torna nell’ennesima nuova sede, lo Spazio Teatro 89 di via Fratelli Zoia. Per gli operomani milanesi, è certo uno choc uscire dalle solite quattro strade chic, ma ogni tanto può anche far bene cercare un altro centro di gravità, benché non permanente. La stagione si è aperta con «Il barbiere di Siviglia». La notizia è che non si tratta di quello di Rossini, ma del suo predecessore nell’hit parade operistica, quello di Giovanni Paisiello, scritto nel 1782 a Pietroburgo per Caterina II. Fra Paisiello e Rossini corrono 34 anni, una grande Rivoluzione, la fine di un mondo e l’inizio di un altro, anche musicale. Quanto a scatto, c’è la stessa differenza che fra una 500 e una Ferrari. Ma, nel suo genere, non è che la 500 sia meno capolavoro di una Ferrari. Se la fonte dei due è la stessa, Beaumarchais, e il libretto molto simile, sono diversissimi la musica e anche il senso dell’umorismo. Quello di Rossini è un teatro dell’assurdo, surreale, corrosivo, frenetico. Il tenero Paisiello invece espunge le velleità rivoluzionarie di Beaumarchais e licenzia una garbata commedia di caratteri, educata, elegante, sospirosa: non a caso, il pezzo più celebre del suo «Barbiere» (anche perché lo usò da par suo Kubrick in «Barry Lyndon») è la sognante serenata di Almaviva. Rossini ride; Paisiello sorride. Detto questo, il 2016 era il bicentenario della morte di Paisiello, uno degli operisti italiani più importanti, e quasi nessuna delle nostre istituzioni musicali se n’è ricordata. A Milano, a salvare l’onore hanno provveduto, sia pure in ritardo di un paio di mesi, i giovanotti di «VoceAllOpera», quindi chapeau (en passant, vergognose le condizioni in cui versa la casa natale di Paisiello, a Taranto, quasi collassata: che vergogna). La formula di questo «Barbiere» è quella solita dell’opera «Aliverta style». Orchestra ridotta, dodici elementi in totale (e sono già molti, per le consuetudini della casa) e tutti giovanissimi, volonterosi ed energici, diretti da Ferdinando Sulla che giustamente la butta sul ritmo e sull’energia. Bravissimo Fabio Maggio, che al pianoforte in scena accompagna con molto spirito i recitativi secchi, interviene nella vicenda e all’occorrenza fa anche da suggeritore. Tutti «gggiovani» anche i cantanti, affiatati e chiaramente entusiasti. Graziana Palazzo era indisposta ma è venuta comunque a capo delle tre-arie-tre che Paisiello affida alla sua Rosina, una delle quali tutt’altro che comoda. Carlo Checchi è un Figaro eccezionalmente mobile: non capisco dove trovi il fiato per cantare mentre salta su e giù, ma evidentemente ci riesce. Néstor Losàn, Almaviva, ha messo in mostra un fisico aitante, una bella voce tenorile, molto gusto e un acuto un po’ avventuroso. Solidissimo e divertente il Bartolo di Luca Simonetti, impagabile il Basilio di Luca Vianello, istrionici e spassosi Maurizio De Valerio e Gabriele Faccialà, rispettivamente il Giovinotto e lo Svegliato, che non diventeranno, sono già due caratteristi di gran classe. Spettacolo divertentissimo, si diceva. Le scene in pratica non ci sono, basta un po’ di attrezzeria, mentre i costumi di Sara Marcucci sono rimediati con grande ingegno. Quanto alla regia vera e propria, le attese «alivertate» arrivano puntualmente. E così Rosina entra tutta damina del Settecento e man mano che si ribella dalla tutela di Bartolo diventa una ragazza d’oggi in sneakers e t-shirt; Almaviva camuffato da maestro di musica è un santone new age che obbliga tutti a esercizi di respirazione e pose yoga; il maestro di musica Basilio è un ambiguo metallaro con tuba da Zucchero; lo Svegliato ovviamente non lascia mai il letto e il Giovinotto è gayissimo; il duetto d’amore fra Almaviva e Rosina è una vera scena erotica di grande tensione. Le due ore di spettacolo volano, il pubblico prima ride e poi applaude. La stagione prosegue il 22 e 23 con «Madama Butterfly» di Puccini, regia di Yamala-Das Irmici, direttore Damiano Cerutti, poi il 3 aprile c’p un Concerto di belcanto a seguito di una masterclass di Chris Merritt. Infine, «L’incoronazione di Poppea» di Monteverdi ha di nuovo una regia di Aliverta, che però l’annuncia come la «prima serie tivù operistica», chissà. L’ennesima alivertata.

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16 februāris 2017Alberto MAttioli

Passerà nel lungo catalogo delle malefatte registiche come «il Rigoletto trans», e già pregustiamo la solita litania dei commenti prêt-à-penser sui social, da «se questi registi vogliono cambiare le opere se le scrivano loro» a «l’importante è la musica», fino ovviamente al più lapidario di tutti, «povero Verdi!». Poveri noi. Allora, per raccontare cos’è e com’è il Rigoletto di VoceAllOpera e del suo presidente-demiurgo-regista-anima, il folle genietto Gianmaria Aliverta, ieri sera allo SpazioTeatro89, bisogna fare un po’ di chiarezza. Intanto, questo Rigoletto non è un trans, ma un travestito: un uomo che si veste da donna per far ridere la corte di depravati nella quale vive e procacciare nuove escort al Duca che la domina. Non è per nulla gratuito o, come si dice in cretinese, «provocatorio». Tutto il personaggio di Rigoletto è costruito sulla sua doppiezza: «serpente» (dice Verdi per interposto Monterone) in pubblico e padre affettuoso in privato, aggressivo in casa del Duca e amorevole nella sua. La gobba non è che un simbolo: solo che «il gobbo che canta» di cui si era innamorato Verdi poteva scandalizzare il pubblico dell’Ottocento, insieme con le prostitute, i sicari, il sacco, il Duca porcellone e quant’altro oggi non ci scandalizza più. Bisogna quindi rendere lo choc di Rigoletto. Ecco quindi che la sua deformità fisica, specchio di quella morale, diventa il travestitismo. E qui siamo subito colpiti e affondati, perché, per quanto blasé possiamo essere, ancora ci colpisce e ci turba che papà porti il caschetto e i tacchi. Allo stesso modo, l’«orgia» (sempre Verdi, e sempre via Monterone) del primo atto tale dev’essere, via, siamo adulti e vaccinati, andiamo al cinema, guardiamo la tivù o, peggio, Internet. E allora vai con concretissimi atti sessuali, nuvole di cocaina sniffata direttamente addosso alla fanciulla di turno (a giudicare dagli sbuffi, perfino troppa, con quel che costa, poi...), cortigiani-maiali con maschere da porco sulla faccia. Per fare Rigoletto basta davvero pochissimo: un letto, un po’ di palloncini (non c’è regia di Aliverta se non c’è un palloncino, tipo Pizzi con le piume, sarà qualche trauma infantile), un po’ di calcinacci per la periferia delabré del terzo atto. Gilda vive in un mondo tutto rosa da bambinona mai cresciuta, rosa le scarpe da ginnastica, il rosario al polso, la coperta del letto, esibendo l’album con le foto della mamma morto e l’orsacchiotto. E qui, ammettiamolo, nel primo duettone con Rigoletto si è un po’ sbuffato: ancora una Gilda con il teddy bear del suo cuore? Poi, al secondo atto, ri-ammettiamolo, Aliverta ci ha fregato ancora una volta con la sua capacità di ribaltare le situazioni e rendere eversivi i luoghi comuni, quando il Duca viene a cantare la sua insincera aria d’amore abbracciato a un altro orsacchiotto, stavolta formato XXL. Le idee, come si vede, non mancano. Di conseguenza, questo Rigoletto tutto sesso, droga e Verdi non solo funziona bene, ma è fra i più autenticamente verdiani visti negli ultimi anni. Anche (o forse soprattutto) se è fatto con niente, a parte l’intelligenza che è gratis. Certo che per essere una delle solite produzioni «low cost» di VoceAllOpera c’era in buca (si fa per dire, allo SpazioTeatro 89 non l’ha, l’orchestra era in un lato della platea) una quantità insolita di strumentisti, addirittura una quarantina, con gli archi dell’Ensemble Testori e i fiati, lo dice la parola stessa, della Civica Orchestra di fiati di Milano. Soprattutto, c’era un direttore. Questo Nicolò Jacopo Suppa è qualcuno da seguire con la massima attenzione, e non solo perché si tratta del direttore d’orchestra con più capelli al mondo (Dudamel, al confronto, è Kojak). Ha un gesto chiarissimo come le sue idee, e in condizioni certo non facili riesce a confezionare un Rigoletto preciso, pulito, incalzante, secco e tagliente come una sciabolata. Un talento, e speriamo che qualcuno se ne accorga prima che abbia l’età della pensione. Compagnia di ragazzi, debuttanti o quasi, a parte Alessio Verna che è un cantante in carriera e che fa un Rigoletto esemplare vocalmente e, dal punto di vista interpretativo, perfettamente «dentro» questo spettacolo. Vestito da donna, mostra quella dignità un po’ ostentata che era tipica delle maîtresse da casino (o almeno così raccontano, confidiamo in Salvini per il grande ritorno), ma nei grandi monologhi ha la giusta enfasi, la vera retorica verdiana, oltre a cantare sempre molto bene e facendo capire ogni parola. Sabrina Sanza è una promettentissima giovin primadonna che ancor più prometterà se regolerà qualche suono stridulo in alto, ma è già una ragguardevole Gilda. Davide Tuscano fa un Duca piacionissimo nella sua giacca di velluto rosa: voce bella e tanta, da affinare la musicalità (qualche percettibile scarto d’intonazione compreso). Benissimo sia lo Sparafucile in canotta e pelliccia di Carlo Andrea Masciadri che la Maddalena in hot pants di Camilla Antonini, e in generale l’intera locandina fino all’ultimo cortigiano. Le constatazioni sull’opera in periferia ve le risparmiamo anche perché le abbiamo giù scritte, ed è evidente a tutti che o l’opera trova un nuovo pubblico o muore. Semmai, benché lo SpazioTeatro 89 sia un posto carino e accogliente, e il suo bar disponga di una buona scelta di birre, sarebbe il caso di dare ad Aliverta un teatro «vero», con un minimo di buca e un palcoscenico un po’ più grande di una cabina telefonica. Molti degli astanti hanno comunque scoperto con l’occasione che la terra non è piatta e dopo la cerchia dei Navigli non si precipita nel vuoto. La notizia è che se una volta tocca per caso uscire dalla Scala, non c’è bisogno della bombola a ossigeno, e che si respira anche dalle parti di San Siro, e pure piuttosto bene (ah, e quando esci non vieni aggredito da bande di balordi), insomma forse bisognerà rivedere un po’ di pregiudizi sulle periferie. Teatrino sold out, per inciso. Si replica domenica alle 15. Rigolettizzatevi senza paura, vale il viaggio.

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14 marts 2019Alberto MAttioli

Recenzijas par iepriekšējiem iestudējumiem

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Rita, Donizetti
D: Gianmaria Aliverta
C: Giacomo Mutigli
C’è del bondage in Donizetti: VoceallOpera trasforma le botte di “Rita” in un gioco erotico. Il palcoscenico? In un cascinale in campagna

Anche l’opera portata in scena quest’anno, dopo due anni di stop sofferto dovuto al Covid, Rita di Gaetano Donizetti, già buffa di suo, è fuori dai canoni, in pieno stile Gianmaria Aliverta, il regista, che, come spiega lui stesso, ha riadattato anche alcune parti per renderle più attuali. La trama resta la stessa, ma Aliverta, sempre attento all’attualità, la spoglia del retrogusto amaro: le botte di Gasparo a Rita e quelle poi di Rita al nuovo marito Beppe, diventano un gioco erotico, con tanto di diversi tipi di frustini e di manette. Insomma, maneschi sì, ma solo per piacere.

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Rita l Pau

In questa occasione Rita è stata rivista simpaticamente in salsa sadomaso. Rita, sposata con Gasparo, era si picchiata, come da libretto di Gustave Vaëz in traduzione italiana, ma per soddisfare le loro fantasie coniugali fatte di frustini e manette. La coppia, titolare di uno stabilimento balnerare viene colpita da uno tsunami che travolge e distrugge tutto. Dopo la sciagura Gasparo risulta fra i dispersi e dopo un po', pensandolo morto, Rita si risposa con Beppe. Costruisce un nuovo stabilimento e, probabilmente nostalgica delle vecchie abitudini, maltratta, picchia e terrorizza il nuovo coniuge. A quel punto Gasparo ritorna a casa e la vicenda si svolge, anche con l'aiuto di una voce narrante,nella figura dell'aitante bagnino, sull'onda di originali gags nelle quali gli interpreti hanno dato prova di ottima attorialità facendo divertire tantissimo i circa duecento spettatori presenti.

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www.operaclick.comDanilo Boaretto
Rigoletto, Verdi
D: Gianmaria Aliverta
C: Nicolò Jacopo Suppa
MILANO – BOLOGNA: Rigoletto 15 e 19 marzo 2019

Gran bel materiale pure quello del tenore calabrese Davide Tuscano, un po’ teso nella ostica parte del Duca, che però ha onorato eseguendo anche il daccapo della cabaletta.

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Milano, SpazioTeatro89 – Rigoletto

Il tenore Davide Tuscano è un Duca di Mantova dal materiale vocale interessante.

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17 marts 2019www.connessiallopera.itSilvia Luraghi