International opera houses such as Covent Garden need fail-safe productions of works that feature in most seasons, in which multiple casts can be accommodated as unfussily as possible. Now eight years old, and in its fourth reincarnation, Patrice Caurier and Moshe Leiser's staging of Madama Butterfly has, surprisingly perhaps, evolved into one of those dependables. Over the years, much of the kitsch that characterised it when new seems to have been quietly abandoned, although traces remain: the landscape, covered with what looks like pink bubble bath, that replaces the backdrop of Nagasaki when Butterfly makes her first appearance; and the tacky flapping gestures she makes as she dies. But generally the production's straightforwardness and refusal to labour political subtexts has become its strength, and its ability to retain its crispness is shown by this excellent revival, which Caurier and Leiser themselves returned to supervise.
Particolarmente atteso nella sua città natale, Andrea Carè ha affrontato con sicurezza il ruolo di Don José offrendone un’interpretazione convincente nel delineare una figura i cui rassicuranti valori etici e morali sono fatalmente messi alla prova dall’incontro con una passione autentica e travolgente. Un percorso di caduta nell’abisso dei sentimenti umani nel quale il tenore ha avuto modo di palesare la propria solidità tecnica e l’attenzione alla resa emotiva del personaggio. Carè è stato particolarmente sensibile alle sfumature del canto e nella resa degli accenti melanconici del giovane caporale dei Dragoni (soprattutto nel duetto del primo atto con Micaela). Oltre a ciò, il tenore ha sfoggiato un’emissione sempre fluida, ben modulata nelle mezze voci (come è avvenuto per “La fleur que tu m’avais jetée”) e correttamente focosa nel drammatico confronto finale con la protagonista.