<<La rilettura registica di Catalano ci pare spiritosa e travolgente, assecondando con garbo la partitura rossiniana e l'intreccio del Romani: due basi d'eccellenza sviluppate e condotte a compimento con qualche lampo di genialità. Molto accurato nei dettagli, sempre ricco di movimento, lo spettacolo è costruito su tante piccole trovate che tengono inchiodata l'attenzione dello spettatore, e che trovano puntuale rispondenza nella vivacissima recitazione non solo dei personaggi principali, ma anche del coro e dello stuolo di comparse>>
<<Roberto Catalano, il giovin regista di questa nuova produzione del Sociale di Rovigo, l’opera l’ha capita davvero. Il giallo è il colore della positività, ma anche della gelosia: Fiorilla è una Doris Day che, invece di invitare a pranzo il parroco alla domenica, se la spassa con il suo Can Yaman in grand tour, riempiendo di corna un Geronio in cardigan da borghese che vuol star comodo. Intanto la moglie fa acquisti su Postalmarket, l’antenato di Amazon, che le vengono consegnati di continuo da coristi-fattorini ancora più alienati degli attuali corrieri; massimo del feticismo, gli elettrodomestici, la televisione gialla, la caffettiera gialla, il tostapane giallo, sempre nuovi e sempre uguali, stipati nella gialla cucina dove trionfa la fòrmica, mentre quattro ballerine (s)vestite da gemelle Kessler, piume in testa e sul lato B, evocano la serissima fatuità di questa storia di corna. Ma quando la commedia diventa dramma, il mondo di Barbie viene invaso dai detriti: stavolta è la realtà, non lo shopping, a bussare alla porta. Spettacolo intelligente, comodamente trasportabile (è una coproduzione con Ravenna, Jesi, Novara, Rimini e Pisa), divertente, riuscitissimo.>>
..degno complice d'avventure, il Leporello di Rocco Cavalluzzi si segnala per vivida condotta scenica e per le buone doti vocali, governate con varietà di fraseggio e fantasia d'accento.
il previsto tenore Stephen Costello ha dovuto essere sostituito da Davide Tuscano a causa di una improvvisa indisposizione. Ciò nonostante la rappresentazione non ne ha affatto risentito, dato che il Tuscano (già vincitore in alcuni importanti concorsi internazionali, tra i quali il «Toti Dal Monte»), nei panni del protagonista Rodolfo, ha dimostrato di essere all’altezza della situazione, grazie ad una notevole presenza scenica e ad una voce assai generosa, del tutto rispondente al non facile ruolo, come hanno dimostrato gli acuti limpidi e sfolgoranti delle arie a lui destinate (a cominciare dalla celeberrima Che gelida manina), oltre ad una personale partecipazione all’evolversi della tragica vicenda.
Davide Tuscano sostituiva l’indisposto Costello nel ruolo di Rodolfo che porta a casa con giudizio positivo; la sua vocalità è chiara, generosa se pur non volumetrica, ma il personaggio è intenso e molto sentito.
Un altro Trovatore si alterna sulle scene venete con quello visto recentemente a Zurigo. Questa volta l'ambientazione, con la regia di Paolo Panizza, è classica. Sotto l'appassionata concertazione di Balàzs Kocsàr si esibiscono, con diverse fortune, Luis Chapa, Aris Argiris, Rachele Stanischi e Anna Maria Chiuri A una settimana di distanza dalla produzione trevigiana di Il trovatore, dal Sociale di Rovigo giunge la risposta con un allestimento differente della medesima opera. La messinscena è curata per intero da Paolo Panizza che tralascia unicamente i costumi, affidati a Valerio Maggioni. Lo spettacolo gioca intelligentemente con i cambi scena a vista che diventano motivo di curiosità per il pubblico, attento alle formule ideate con il procedere della recita. Panizza cerca di rispettare i dettami della vicenda raccontando il più fedelmente possibile una storia dall’intreccio di non immediata comprensione. La comunanza simbolica tra le varie scene rende ideale una narrazione fluida, fatta di pochi elementi convertibili e sempre funzionali. La torre di forma cilindrica, imperante sul palcoscenico, è per metà aperta così da lasciar vedere il convento e l’interno della prigione. Gli astanti sono proiettati nell’epoca precisata dal libretto (principio del secolo XV) e sembrano quasi rassicurati nel vedere una ricostruzione in grado di guidarli alla scoperta dell’opera.
Dei tre capolavori della “trilogia popolare” Il Trovatore è certamente l’opera che conobbe il maggior successo alla sua prima rappresentazione, il 19 gennaio 1853. Nonostante la trama grottesca e gran-guignol, tutta buchi e incongruenze, Il trovatore ha dalla sua una tale immediatezza nel linguaggio musicale che questo primato non può certo stupirci. Un gobbo buffone è il protagonista di Rigoletto, una prostituta d’alto bordo è La Traviata e una zingara è il motore delle intricate vicende de “Il trovatore”. Una decisa svolta rispetto alla precedente tradizione di nobildonne ed eteree damigelle. È proprio Azucena, una formidabile zingara ormai vecchia e demente, la vera protagonista di quest’opera astrusa e contemporaneamente semplicissima. Così, quando Azucena funziona, si finisce per chiudere un occhio sugli eventuali difetti della rappresentazione. E in effetti è davvero eccellente la prestazione di Anna Maria Chiuri un’Azucena di rara bravura, convincente e completamente nel ruolo sia vocalmente che scenicamente. La voce si dispiega con facilità dal registro grave al centrale, con brillanti incursioni in acuto; la Chiuri sovrasta l’orchestra e, quando è in scena, la domina con la sua presenza spettrale e potente. Oltre che filologico, il suo fraseggio è teso e ben calibrato; di certo la Chiuri non lascia mai cadere l’attenzione. Lo “Stride la vampa” è preciso negli abbellimenti e perfettamente intonato; molto bene anche il duetto col “figlio adottivo” Manrico, Luis Chapa, che ha un’ottima pronuncia ma talvolta risulta un po’ insicuro nell’intonazione. Scenicamente ha poco sia del nobile cavaliere che del trovatore gitano, lo vediamo spesso aggirarsi per il palco armeggiando malamente con una spada. Il timbro è certamente molto caldo e dolce, il fraseggio ben curato. Nonostante “La Pira” fosse ancora un po’ spenta, in generale la sua performance convince il pubblico, che gli dedica calorosi applausi a scena aperta.
Pinocchio, creatura oggetto di continue metamorfosi, si esprime soprattutto con un canto declamato molto teso e stretto nel primo atto, con qualche apertura vocale più distesa nel secondo. Eleonora Boaretto è il giovane soprano impegnato in questo ruolo impervio. Non solo regge alla perfezione il lato musicale, ma riesce a calarsi nel personaggio assorbendolo fino in fondo, piegando la sua bella voce ai capricci infantili con il gusto dell’interprete intelligente, rendendo credibile un bambino bizzoso che strepita in sprechgesang.
La serata ha rivelato alcune sorprese. In primis la voce di Eleonora Boaretto nei panni di Pinocchio. Dotata di una buona tenuta scenica, il soprano si districa con grande sicurezza tra le insidiose note che la partitura tarabelliana le concede, valorizzando il personaggio eponimo.
"Il tenore Francesco Napoleoni esordiva con “Questa o quella per me pari sono” dal Rigoletto difendendosi con professionalità dalle difficoltà di questa pur breve aria. Si dimostrava altrettanto sicuro nella Serenata di Arlecchino da Pagliacci e in No puede ser da La tabernera del puerto".
Accanto a lui (...) alcuni giovani cantanti, tra cui spiccava per voce brillante Luisa Kurtz nei ruoli dell’innamorata Ellie e della leggiadra Libellula.