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Past Production Reviews

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Ernani, Verdi
D: Davide Garattini Raimondi
C: Giuseppe Finzi
Cagliari - Teatro Lirico: Ernani

E’ proprio il caso di dire: riecco Verdi a Cagliari, a distanza di oltre un anno e mezzo dalla Traviata trasmessa in streaming per lenire la tristezza dei giorni dei teatri svuotati dall’emergenza pandemica. Ma soprattutto: riecco il bandito Ernani, in scena nel teatro cagliaritano per la prima volta dai tempi di Aldo Protti e Caterina Mancini. Un bel regalo per il pubblico del Lirico, che ha potuto riscattare le tante serate spese in operazioni musicali talvolta poco convincenti facendosi rapire dagli afflati eroici, dal romanticismo aulico, dalle ondate melodiche potenti e prepotenti di quella che, a sommesso avviso di chi scrive, rappresenta una delle pagine più belle prodotte dal Cigno di Busseto nei suoi “anni di galera”. Il ritorno del Bandito, il ritorno di Verdi: celebrato da un allestimento ordinato e senza particolari sbavature, e soprattutto valorizzato da due compagnie di canto omogenee e prive di punti deboli. Il regista Davide Garattini Raimondi costruisce il suo spettacolo su un gioco di mobili pannelli scuri, da cui traspare uno squarcio di colore cangiante con pochi oggetti utili a scandire le varie fasi dell’opera: un tronco ardente identifica il covo dei banditi nelle foreste aragonesi; un monumento equestre e un trono dorato riempiono il castello di Silva; l’avello di Carlo Magno funge da cornice per la riunione dei ribelli; due alberi ammantati da una luce rosso sangue fanno da sfondo al tragico finale. Il risultato è un Ernani minimale, cupo, a tratti claustrofobico, ma nel complesso apprezzabile, grazie soprattutto alle luci curate da Alessandro Verazzi, alle scene e ai bellissimi costumi di Domenico Franchi, al quale si può muovere l’unica critica di avere imposto al protagonista, anche nei primi due atti, un ricco corpetto molto più adatto a Don Giovanni d’Aragona che al Bandito in fuga per antri e lande inospite. Al netto di qualche eccesso (il suono degli ottoni copre a tratti quello degli altri strumenti), Giuseppe Finzi propone una direzione giustamente pervasa dal fuoco che il primo Verdi richiede: poco comprensibile, tuttavia, risulta la scelta (in pieno stile “anni ‘50”) di tagliare tutti i “da capo” delle cabalette del primo atto. Buona, come già anticipato, la prova dei cantanti: il peso di una lunga e onorata carriera non condiziona, nel ruolo eponimo, la resa di Marco Berti, ancora capace di sfoggiare una freschezza vocale, una ricchezza di armonici e uno squillo talmente potente e sicuro da fare invidia a tanti più giovani tenori. Il suo Ernani è pieno di lirismo in “Come rugiada al cespite”, impetuoso in “Oro, quant’oro ogn’avido”, svettante in acuto nel terzetto del primo atto. Non meno convincente si rivela la Elvira di Marigona Qerkezi, a sua volta in grado di coniugare i virtuosismi della raffinata belcantista (vedi il pianissimo sfoderato a conclusione della cavatina) con la solidità negli acuti propria del soprano lirico spinto. Dongho Kim incarna un Silva molto sicuro e senza eccessi nella sua dimensione del “cavaliere nero” la cui dignità ferita non scade mai nella furia incontrollata, mentre Devid Cecconi presta la sua solida corda baritonale a un Don Carlo giocato più sulla dimensione autoritaria del monarca impegnato a sconfiggere i ribelli che su quella autorevole e illuminata del giovane sovrano che aspira al lauro imperiale. Il crescendo di “E vincitor dè secoli” rimane comunque uno dei momenti più riusciti della serata. Positive impressioni derivano anche dall’ascolto della seconda compagnia. Nei panni del protagonista, il tenore egiziano Ragaa Eldin si rende autore di una prova generosa e coraggiosa soprattutto nel primo atto (la cavatina è eseguita con tanto di puntatura di tradizione), e caratterizzata da un percepibile coinvolgimento emotivo nel terzetto finale. Renata Campanella propone a sua volta una Elvira correttissima, molto misurata nella sortita ma capace di affrontare con notevole sicurezza le agilità della cabaletta. Superando una lievissima incertezza nel re bemolle finale di “Oh dè verd’anni miei”, degno di nota appare il Don Carlo di Badral Chuluunbatar, giovane baritono dai notevoli mezzi (“Lo vedremo, veglio audace” è un’onda di suono che invade letteralmente la platea) e dal fascino timbrico proprio dei cantanti destinati ad una carriera di primo livello. Non tradisce le attese il coro guidato da Giovanni Andreoli, così importante nell’economia di quest’opera. Giada Frasconi(Giovanna), Tatsuya Takahashi (Don Riccardo) e Carlo Di Cristofaro (Jago) completano la locandina.

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operaclick.comCarlo Dore Jr.